EUSEBIO GIAMBONE “Franco”

EUSEBIO GIAMBONE “Franco”

Nato a Camagna Monferrato (Alessandria) il 1° maggio 1903, fucilato a Torino il 5 aprile 1944, operaio, Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

Figlio di un ferroviere che era stato trasferito a Torino, Eusebio, dopo aver frequentato una scuola tecnica, trovò il suo primo lavoro, come tornitore, in una piccola officina. Nel primo dopoguerra, membro della Gioventù socialista, ebbe modo di conoscere Antonio Gramsci e il gruppo di militanti organizzati intorno all’Ordine Nuovo. Nel settembre del 1920, Giambone partecipa all’occupazione delle fabbriche. Assolto in un processo nel quale lo si accusava di aver fabbricato illegalmente armi automatiche, il giovane s’impegna, al sorgere del fascismo, nelle squadre di difesa operaia. Nel dicembre del 1922, dopo le violenze dei fascisti di Brandimarte a Torino, fu costretto a riparare in Francia. Vi restò tredici anni e per tutto quel tempo fu uno dei dirigenti, nella regione del Rodano, dell’Unione popolare italiana, che organizzava i nostri emigrati. Nel 1937 Giambone fu colpito dalla morte di uno dei suoi quattro fratelli, Vitale, caduto in Spagna, combattendo a Huesca contro i franchisti. Nell’inverno del 1940 l’emigrato italiano è arrestato a Lione, dove abitava con la famiglia, incarcerato e poi internato nel campo di Vernet. Quando, nel luglio del 1941, i francesi di Vichy consegnarono Giambone alla polizia italiana – dopo avergli fatto attraversare ammanettato mezza Francia – dovette scontare il confino a Castel Baronia (una piccola colonia di internamento in provincia di Avellino), sino a che Mussolini non cadde. Pur avendo la possibilità di attendere in Campania l’imminente arrivo degli Alleati, nell’agosto del 1943 Eusebio Giambone riesce, dopo un viaggio avventuroso, a raggiungere Torino, dove riprende subito l’attività politica e, dopo l’armistizio, cura l’organizzazione della Resistenza nelle fabbriche della città. Rappresentante del PCI nel primo Comitato militare del CLN regionale piemontese, Giambone diede un gran contributo alla creazione della rete organizzativa militare del capoluogo piemontese. Il 31 marzo del 1944, catturato dalla polizia fascista con altri membri del Comitato, il dirigente comunista, gravemente compromesso dai documenti che gli erano stati trovati addosso, seppe affrontare con grande coraggio gli interrogatori e il processo, rivendicando il diritto di battersi per la libertà. Prima di essere fucilato, con sette dei suoi compagni di lotta, da un plotone di militi della GNR al Poligono del Martinetto, Giambone scrisse alla moglie Luisa e alla figlia Gisella due lettere, che rimangono tra i documenti più elevati della Resistenza e che, nel 1952, sono state pubblicate nel volume Lettere di condannati a morte della Resistenza Italiana. La motivazione della Medaglia d’Oro a Giambone dice: “Modesto operaio, animato da purissima fede, accorreva all’appello della Patria oppressa. Infaticabile organizzatore e combattente audace sapeva trasfondere ai compagni di lotta lo stesso entusiasmo che lo animava per la causa alla quale aveva dedicato tutto se stesso. Catturato dal nemico, processato e condannato a morte, affrontava impavido il plotone di esecuzione e nel cadere sotto la raffica del piombo nemico lanciava, con l’offerta della sua vita, l’estrema invocazione alla Patria. Luminosa figura di combattente della libertà”. Dopo la fucilazione di Eusebio Giambone, hanno preso il suo nome la XIX Brigata Garibaldi e un distaccamento della 181a. Dopo la Liberazione, la città di Torino ha dedicato una strada all’eroico combattente antifascista.



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